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Trento, 9 gennaio 2004
NORBERTO BOBBIO E L’UNIVERSITA' DI TRENTO
NEGLI “ANNI CALDI” DI SOCIOLOGIA

Testimonianza di Marco Boato
da l ’Adige del 10 gennaio 2004

Già da giorni, mentre le notizie sulle condizioni di salute di Norberto Bobbio arrivavano sempre più allarmanti, mi era capitato di ritornare con la memoria a quasi quarant’anni fa, quando giovane studente di Sociologia, l’avevo conosciuto per la prima volta.

Eravamo nella seconda metà degli anni ’60, quando nel 1966 era stata approvata, anche sotto la spinta delle prime due occupazioni del Movimento studentesco di allora, dapprima la legge in Parlamento di riconoscimento statale dell’Istituto Superiore di Scienze Sociali e della laurea in Sociologia e, poi, il nuovo Statuto con il piano di studi.

Fu allora costituito, su iniziativa di Bruno Kessler, il Comitato ordinatore della facoltà di Sociologia, di cui era stato chiamato a far parte, oltre a Marcello Boldrini e a Nino Andreatta, anche Norberto Bobbio, il quale era anche membro del Consiglio di amministrazione presieduto dallo stesso Kessler.

Per me, che in quel Consiglio ero entrato giovanissimo in rappresentanza degli studenti (succedeva per la prima volta in Italia), Norberto Bobbio era già un “mito” sul piano filosofico e culturale. Avevo già letto da anni il suo libro allora più famoso, “Politica e cultura”, una straordinaria raccolta di saggi edita da Einaudi. E quindi era per me una forte emozione, intellettuale e umana, poterlo conoscere personalmente e poter interloquire con lui. Rimasi tuttavia stupito, durante le discussioni talora animate nel Consiglio di amministrazione, quanto anche il filosofo Bobbio subisse il fascino e quasi una soggezione nei confronti del politico Kessler, che presiedeva con mano forte e con piglio carismatico.

Con Norberto Bobbio, oltre che con Boldrini e Andreatta, condussi poi nell’aprile del 1968, per conto del Movimento studentesco, le trattative, dentro la facoltà occupata (e assediata a seguito del famoso “controquaresimale” di Paolo Sorbi in Duomo), per trovare un accordo che permettesse di concludere l’occupazione che si protraeva da oltre due mesi. Furono giornate di intense discussioni, di fronte all’assemblea studentesca, di cui esistono ancora belle testimonianze fotografiche.

Alla fine l’accordo fu stipulato e da lì nacque la nuova gestione accademica con l’arrivo di Francesco Alberoni e di uno stuolo di giovani docenti, soprattutto da Milano e Bologna.

Norberto Bobbio visse a Trento anche la fase drammatica, nel 1970 e 1971, del blocco delle iscrizioni, prima, e del “numero chiuso”, poi.

Era allora entrato – dopo la positiva esperienza dell’ “università critica” del 1968 – in una dimensione assai più preoccupata e “pessimistica”. Dopo la strage di Piazza Fontana, del dicembre 1969, era iniziata la strategia della tensione, i cui effetti si facevano sentire pesantemente anche a Trento.

Di questo suo cupo “pessimismo” è rimasta traccia nella sua introduzione ad un libro su Carlo Cattaneo, uscito da Einaudi proprio nel 1971. La lessi mentre – da poco laureato – stavo assolvendo al servizio militare, lontano da Trento. Dalla caserma gli scrissi una lunga lettera e lui – cosa che mi meravigliò e mi fece onore – mi rispose, dialogando apertamente e rispondendo alle mie obiezioni.

Molti anni dopo, nel 1987, vissi una nuova, forte esperienza umana e politica nel ritrovarmi con lui, entrambi colleghi al Senato. Anzi, nella X legislatura, al Senato ci reincontrammo, tutti protagonisti delle vicende di Sociologia di vent’anni prima, non solo Bobbio (senatore a vita dal 1984) e io (allora eletto senatore di Trento), ma anche Bruno Kessler e Nino Andreatta.
Nel primo giorno di legislatura, dopo un saluto affettuoso, gli dissi che per la Presidenza del Senato non avrei votato Spadolini (che fu eletto), ma proprio lui, Norberto Bobbio, in segno di stima intellettuale e di riconoscenza umana e politica per l’ormai antica esperienza trentina.

L’anno dopo, 1988, esplose il “caso Sofri” e anche di questo abbiamo avuto più volte occasione di discutere, perché lui aveva conosciuto Adriano Sofri a Torino, quando anche suo figlio, Luigi Bobbio, era stato dapprima un leader del Movimento studentesco e poi un esponente di Lotta continua.

Ed è proprio il “caso Sofri” il motivo per cui, ripetutamente, negli ultimi anni abbiamo avuto modo di parlarci. Il vecchio e saggio filosofo del diritto e della politica non aveva mai cessato il suo impegno civile, memore anche di quella “filosofia militante” di Carlo Cattaneo di cui aveva scritto tanti anni prima.

E’ morto un uomo saggio e sapiente, ma anche un uomo buono e generoso, della cui memoria anche Trento e la sua Università possono essere orgogliosi e commossi testimoni.

Marco Boato

 

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